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Un evento che segna il futuro delle montagne italiane
Il 9 febbraio, in un gesto di protesta collettiva, decine di comitati territoriali si sono riuniti sulle cime delle montagne italiane per esprimere il loro dissenso nei confronti delle Olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026. Questa mobilitazione, intitolata “La montagna non si arrende”, ha visto la partecipazione di gruppi che, pur con rivendicazioni locali diverse, hanno trovato un terreno comune nella lotta contro un modello di sviluppo che considerano predatorio e insostenibile.
Una convergenza di valori e ideali
La manifestazione ha rappresentato una vera e propria convergenza di valori, unendo le voci di chi vive la montagna non solo come un luogo di svago, ma come un ecosistema da proteggere. I comitati hanno sottolineato che le Olimpiadi non sono solo un evento sportivo, ma un simbolo di un’ideologia estrattiva che sfrutta le risorse naturali a beneficio di pochi, a discapito della comunità e dell’ambiente. L’Associazione Proletari Escursionisti (Ape), che ha promosso l’iniziativa, ha storicamente combattuto per un’idea di escursionismo popolare e accessibile, opponendosi a qualsiasi forma di militarizzazione e commercializzazione della montagna.
Le conseguenze delle Olimpiadi: un’analisi critica
Le Olimpiadi di Milano Cortina 2026 sono state criticate non solo per il loro impatto ambientale, ma anche per la mancanza di trasparenza riguardo ai costi e alle opere necessarie. Secondo un report di Open Olympics, solo 30 delle 94 opere in fase di realizzazione sono essenziali per le gare olimpiche, mentre molte altre riguardano infrastrutture stradali e ferroviarie. Questo solleva interrogativi sulla sostenibilità economica e ambientale dell’evento, evidenziando come le spese per le opere di legacy siano significativamente superiori a quelle per le strutture necessarie per le competizioni.
Un futuro incerto per la montagna italiana
Con l’avvicinarsi delle Olimpiadi, la pressione sui territori montani aumenta, e i comitati locali si trovano a dover affrontare sfide sempre più complesse. La crisi climatica, unita alla speculazione legata agli eventi sportivi, mette a rischio non solo l’ambiente, ma anche il modo di vivere delle comunità montane. La mobilitazione del 9 febbraio è stata un chiaro segnale che la montagna non si arrende e che esiste un’alternativa a questo modello di sviluppo. I comitati chiedono un approccio più rispettoso e sostenibile, che metta al centro la salvaguardia dell’ambiente e il benessere delle persone.